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sabato 13 agosto 2016

Le menzogne del potere sulla decrescita



Tratto dal saggio L'illusione della libertà, bestseller di Amazon nella categoria sociologia. Disponibile anche in download gratuito al seguente indirizzo.

Con l'attuale livello di produzione, e con le abitudini di consumo degli abitanti dei cosiddetti paesi del Primo Mondo, l'umanità ha già superato di gran lunga il limite che sancisce la sostenibilità ambientale.

Le più recenti simulazioni fisico-matematiche mostrano che la temperatura media della terra salirà di alcuni gradi nel corso dei prossimi decenni, portando con sé conseguenze disastrose per l'intera umanità.

È stato provato un nesso causale tra le azioni antropiche e il verificarsi del fenomeno del surriscaldamento globale, per cui, nonostante la coltre di fumo diffusa dai negazionisti, gli artefici di questo disastro sono stati identificati in modo inequivocabile e hanno nome e indirizzo: siamo noi, gli esseri umani.

C'è poco da discutere. Se non vogliamo mettere in atto un suicidio su scala globale, i paesi del Primo Mondo devono decrescere immediatamente, e i paesi emergenti devono adottare un piano di sviluppo economico sostenibile. 

Chiariti questi punti si può argomentare su come tutto ciò debba avvenire. Per ora ci occuperemo della fase di decrescita.

Decrescere perché la finanza speculativa mette sotto attacco una nazione, imponendo tagli ai servizi pubblici come scuola o sanità, riduzione dei diritti dei lavoratori e svendite delle eccellenze pubbliche presenti sul territorio nazionale, non è certo la stessa cosa che decrescere perché gli esseri umani decidono di produrre di meno ma con una maggiore qualità; oppure perché tutti i fumatori improvvisamente smettono di acquistare pacchetti di veleno da fumare; per non parlare di un'eventuale decrescita dovuta alla cessazione della produzione di armi da guerra...

Nel primo caso il PIL diminuisce, le persone s'impoveriscono e devono lavorare ancora di più per guadagnare di meno, nonostante abbiano un disperato bisogno di denaro; 

anche nei successivi scenari il PIL diminuisce, ma gli oggetti durano più a lungo, vale a dire che non devono essere ricomprati con elevata frequenza; inoltre i fumatori non si ammalano di cancro, quindi non devono spendere denaro per curarsi. 

Non per ultimo, in ordine d'importanza, gli ordigni di morte non vengono più sganciati su altri esseri umani da militari che uccidendo i propri simili, pur di obbedire ciecamente agli ordini impartiti dal potere, dimostrano chiaramente di aver ricevuto un cervello solo per errore.

Ma così molte persone resterebbero senza lavoro... quindi qual è la logica dell'attuale sistema? 

È meglio che le persone continuino a sprecare risorse e a inquinare l'ecosistema, utilizzando enormi quantità di oggetti di bassa qualità, piuttosto che pochi beni ma di elevata fattura;

che gli esseri umani continuino a fumare, così da ammalarsi e spendere denaro generando profitto per le multinazionali del tabacco e del farmaco; che popoli innocenti sperimentino morte, sofferenza e disperazione causate dalla guerra... 

in modo tale da continuare a dare un lavoro assurdo e totalizzante a tutti i membri della società.

No, questa non è una soluzione ma una follia sociale, figlia delle logiche di profitto attuate da individui con un'evidente deficienza emotiva e cognitiva.

Una soluzione ben più sensata e auspicabile consiste nel costruire un sistema economico nel quale si lavora molto di meno ma si lavora tutti e, al tempo stesso, le persone hanno anche un minor bisogno di spendere denaro, quindi di lavorare, pur avendo accesso ai beni e ai servizi di cui necessitano per vivere più che dignitosamente. 

In questo modo gli esseri umani potrebbero godere di un maggior tempo libero per vivere la vita in libertà e con serenità: è questa la vera meta della decrescita felice.

L'ideologia imperante della crescita per la crescita è fondata su di un dogma: l'economia deve espandersi.

Per sostenere questo folle meccanismo si è costretti a creare e indurre il bisogno di consumare, ma così facendo il consumo diviene superfluo, in quanto azione subordinata al profitto e non al reale soddisfacimento delle necessità degli esseri umani.

Ma una volta che i membri di un certo sistema socio-economico possiedono pressoché tutto ciò di cui hanno bisogno, e anche molto di più del necessario, la scappatoia per continuare ad alimentare il meccanismo è quella d'indurre un ciclo produzione-consumo-ri-produzione sempre più rapido.

In pratica, quando le abitazioni sono stracolme di oggetti, questi devono iniziare magicamente a rompersi, oppure si possono convincere i consumatori del fatto che tutto ciò che possiedono sia vecchio o fuori moda e che quindi debba essere sostituito, per quanto ancora perfettamente funzionante. 

Queste dinamiche vengono attuate commercializzando prodotti appositamente concepiti per non essere durevoli, per mezzo d'incentivi pubblici, campagne pubblicitarie martellanti e altri condizionamenti psicologici che spingono gli individui verso atteggiamenti consumistici, dannosi e superflui.

Esempi eclatanti sono rappresentati dagli incentivi per sostituire auto ancora perfettamente funzionanti con altre che sono sempre alimentate a derivati del petrolio, la tipica obsolescenza programmata degli apparati tecnologici e le ridicole mode stagionali che interessano i capi d'abbigliamento.

Si passa così da un consumo ponderato e razionale, a un iper-consumo scellerato e irrazionale tremendamente dannoso per l'ecosistema e di riflesso per ogni forma di vita presente sulla Terra.

L'iper-consumo, infatti, non comporta solamente un maggiore utilizzo di materie prime, ma introduce un'inefficienza generalizzata, derivante da inutili incrementi di fabbisogno energetico, di lavoro e d'inquinamento ambientale.

La maggiore velocità di consumo comporta un impiego folle e irrazionale:

1) delle risorse, che sono letteralmente sprecate per produrre e riprodurre beni che potrebbero essere realizzati per durare a lungo, invece che per deteriorarsi rapidamente e guastarsi appositamente in modo irreparabile al fine di essere ricomprati;

2) dell'energia, in quanto si dovrà far fronte a una maggiore richiesta energetica correlata ai processi produttivi addizionali ma non necessari dovuti all'iper-produzione indotta dall'iper-consumo, concretizzando una dinamica dannosa, superflua ed evitabile;

3) del tempo della vita degli esseri umani, un bene dal valore inestimabile, che viene letteralmente sprecato lavorando per produrre e riprodurre i medesimi oggetti, quando in realtà tutto ciò potrebbe essere evitato, senza diminuire la qualità della vita né l'accesso al paniere dei beni.

Così facendo le risorse vengono sprecate, si ha un inquinamento più che mai immotivato, le persone si ritrovano ad avere beni scadenti, il lavoro diventa totalizzante e impedisce di disporre del tempo necessario per vivere la vita con pienezza. 

Le continue costrizioni lavorative, da una parte, e la sistematica induzione al consumo, dall'altra, producono un senso d'insoddisfazione utile per creare una massa di consumatori compulsivi, che tentano invano di colmare il proprio vuoto esistenziale con i prodotti ideati dagli specialisti del marketing.

Pur ammettendo che la crescita porti ricchezza, è altresì vero che, così com'è strutturata oggi, questa corsa senza sosta comporta anche una notevole inefficienza e, quel ch'è peggio, allontana dalla felicità, oltre che dalla sostenibilità ambientale. 


La logica della crescita non è finalizzata al raggiungimento di obiettivi utili per l'umanità, ma è subordinata alla volontà di una élite che agisce per ottenere  profitto. Il come, il perché e le conseguenze, passano in secondo piano quando si tratta del dio Denaro.

Se la crescita dei paesi del Primo Mondo fosse dovuta al fatto che stiamo sfamando, curando e istruendo i poveri del Terzo mondo, oppure realizzando tecnologia verde per ripulire il pianeta dall'inquinamento o per ripristinare gli equilibri dell'ecosistema, nessuno individuo sano di mente sarebbe contrario alla crescita, perfino il più accanito decrescitista. Ma purtroppo così non è. 

Oggi la crescita è largamente dovuta alle guerre e all'iper-consumo, che portano all'aumento dell'inquinamento, quindi delle malattie e della vendita di medicinali, oltre che a una deriva dalla sostenibilità ambientale, allora è evidente che in questo caso qualunque individuo sano di mente non può che schierarsi dalla parte dei decrescitisti, cercando perlomeno di spezzare quella parte di crescita viziosa e dannosa che caratterizza l'economia dell'odierna società.

La crescita, qualora venisse ricercata, non dovrebbe essere lasciata in balìa della smania di profitto degli operatori che agiscono in condizione di libero mercato, ma dovrebbe essere indirizzata razionalmente verso obiettivi utili per il raggiungimento del benessere dell'intera umanità.

Bisogna fare attenzione: la stessa identica cosa dovrebbe avvenire anche per la decrescita. Non si deve essere così sciocchi da decrescere per decrescere commettendo lo stesso errore dell'ideologia crescitista. 

Se decrescere significasse esclusivamente trascorrere tutto il giorno ad auto-produrre beni per auto-consumo, che tipo di vantaggio avremmo ottenuto?

Certo, il cibo sarebbe più salutare e il modello nel suo complesso più sostenibile, ma gli esseri umani sarebbero ancora vittime di una forma di lavoro totalizzante, anche se di un'altra natura.

L'ideale da raggiungere non è che ciascuno ricominci a coltivare il proprio orticello, ma che si realizzi un orto collettivo a km zero, che produca cibo in modo quanto più possibile automatizzato, da distribuire gratuitamente a tutta la popolazione locale.

Non si deve decrescere tornando a costruire a mano gli oggetti, ma si devono sfruttare le moderne conoscenze scientifico-tecnologiche per realizzare prodotti di elevata qualità e di lunga durata ricorrendo alle automazioni, in modo tale da produrre la minor quantità possibile di oggetti con il minimo lavoro umano.

La decrescita dev'essere anche una decrescita di tempo dedicato alle attività lavorative. Decrescere deve significare ridimensionare l'economia e il lavoro umano, per assicurare eco-sostenibilità e tempo in abbondanza per vivere la vita, pur disponendo di beni e servizi.

Per questi motivi la decrescita deve orientarsi all'efficienza e all'automatizzazione dei processi produttivi, per salvaguardare l'ambiente e assicurare la libertà nei confronti del lavoro, altrimenti salveremo il pianeta, ma condanneremo ancora una volta l'umanità a un'altra forma di schiavitù.
Le scelte che conducono a un'eventuale decrescita devono essere ponderate razionalmente e compiute tenendo sempre bene in mente la meta del benessere e della libertà di tutti gli esseri viventi.

Purtroppo gli obiettivi generati dall'inseguimento del profitto dimostrano sempre più di discostarsi da ciò che sarebbe estremamente utile per rendere sane, libere e felici le persone.

Per questo, se intendiamo seriamente migliorare le condizioni di vita sulla Terra, bisogna innanzitutto avere il coraggio di ripudiare l'obiettivo del profitto.

Questa scomoda verità è totalmente contraria ai principi del libero mercato, e richiederebbe come alternativa una regolamentazione o una pianificazione dell'economia, implementata in modo tale da coordinare e finalizzare gli sforzi dei membri del sistema verso un cammino virtuoso, cosa che l'economia di libero mercato ha dimostrato chiaramente di non essere in grado di fare.

Le considerazioni contenute negli ultimi capitoli sono talmente ovvie che chiunque avrebbe potuto scrivere questi saggi. 

Eppure, dimostrano innegabilmente l'inefficienza intrinseca dell'attuale sistema economico, concepito sulla base di una visione economica imbevuta dell'ideologia del libero mercato e del meccanismo di crescita per la crescita indotto dal sistema monetario. 

Adattarsi alle richieste di un'economia che non conduce alla felicità e non garantisce neanche la sostenibilità ambientale ma rimane in auge a causa di vincoli metafisici che ci siamo auto-imposti come se fossero ineludibili, rappresenta una chiara forma di cretinismo economico. 

È evidente che tutto questo debba essere superato. Possiamo scegliere, perché in quanto esseri pensanti abbiamo il potere e le capacità per farlo. 

Il sistema economico e le sue regole, in quanto meri costrutti antropici, possono essere modificati a nostro piacimento, in modo tale da raggiungere nobili obiettivi, come ad esempio la sostenibilità ambientale e la felicità dell'intera umanità.

Chi detiene il potere vuole far credere alle persone che decrescere significhi avere di meno e quindi vivere in povertà. Ma non è così.

Viviamo in un mondo finito che non può sostenere una crescita dei consumi di beni e servizi sempre maggiore, ed è del tutto evidente che «solo un pazzo, oppure un economista», per dirla alla Kenneth Boulding, potrebbe sostenere il contrario.

Decrescere significa innanzitutto aumentare l'efficienza ed eliminare gli sprechi; avere oggetti di elevata qualità pur lavorando di meno; ripristinare la sostenibilità ambientale consumando energia pulita e rinnovabile; mangiare prodotti sani coltivati a km zero invece dei veleni a basso costo commercializzati dalle multinazionali.

La decrescita felice crea gli spazi necessari per consentire a tutti gli esseri umani di vivere nell'abbondanza e in modo sostenibile; restituisce il doveroso tempo alla vita sottraendolo a un iper-lavoro dannoso ed evitabile; 

contribuisce a porre fine ai conflitti armati, tipicamente legati al predominio sulle risorse petrolifere. 

L'unico "difetto" della decrescita è la sua chiara incompatibilità con le logiche di profitto dell'imperante ideologia capitalistica, che di certo non la rendono appetibile agli occhi di chi trae enormi vantaggi dall'odierno sistema economico.

Decrescere, infatti, significherebbe riconoscere il fallimento della visione economica fondata sul dogma del libero mercato.  

Una concezione economica folle che concretizza un sistema sociale pessimo; assicura dominio e profitto a una minoranza mediante lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e degli altri esseri viventi; causa povertà e sofferenza; non mette in atto contromisure serie nei confronti dell'inquinamento ambientale perché risulterebbero "antieconomiche"; trae vantaggio dalla malattia in quanto fonte di profitto; attua un uso inefficiente e insensato delle risorse e del tempo della vita.

Tutto ciò si traduce in una generalizzata insostenibilità ambientale, nonché in una chiara deriva dalla libertà e dalla felicità. 

Ecco perché l'élite fa di tutto per far credere che la decrescita sia un male. Anche se in effetti, da un certo punto di vista, è proprio così che stanno le cose: la decrescita è un male, certo, per chi oggi detiene ricchezza e potere, ma non per l'umanità.


Mirco Mariucci

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